giovedì 31 maggio 2012

Arrigo Benedetti, Giornalista e Scrittore


da sinistra: Giorgio Amendola, Arrigo benedetti, Angelo Rizzoli e Ugo La Malfa (Rif.LimAntiqua)




Benedetti, Giulio (Arrigo Come Nome D'Arte Dal 1933)

Dizionario Biografico degli Italiani
BENEDETTI, Giulio (Arrigo come nome d'arte dal 1933). - Nacque a Lucca il 10 giugno 1910, da Luigi, rappresentante di commercio e Linda Agatoni; la madre, donna forte e volitiva, contava tra i suoi antenati Ildefonso Nieri, autore dei Racconti popolari lucchesi. Fino a ventisette anni abitò al centro della città, in una vecchia casa della parrocchia S
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Da leggere:

"PAURA ALL'ALBA"

Dalai Editore  - 1995



La guerra, che è ormai giunta in Italia, vede l’autore attivo quale fiancheggiatore  delle formazioni partigiane che operano nell’Appennino emiliano dove si è rifugiato assieme alla moglie, che gli ha dato un figlio, che è stato battezzato da due prigionieri alleati, un francese e un russo, ai quali ha dato rifugio nella sua casa di Gazzano. Scoperto dai fascisti è arrestato e rinchiuso nella cella in cui è trattenuto Alcide Cervi, il padre dei fratelli fucilati il 28 dicembre del 1943. Un distruttivo, quanto provvidenziale bombardamento, demolisce il carcere di Reggio Emilia e permette al lucchese di rifugiarsi in Garfagnana da dove, sopraggiunti gli alleati, si trasferisce a Lucca e poi a Roma.
Storia di partigiani, massacri tedeschi, bombardamenti di città, vita nelle prigioni che trovano unità nell’umanità disperata nel continuo tentativo di sfuggire agli orrori della guerra.
Romanzo autobiografico che descrive la realtà del dramma di un paese e i sentimenti di un popolo sconvolto.






 


Arrigo Benedetti 









novembre 1975 a ottobre 1976


 
"Paese Sera"
ordine di servizio del 26 Ottobre 1976
Certe norme stabilite per la stesura degli originali sono spesso dimenticate. Ne ricordiamo alcune.
Dovranno
 essere composti in corpo 8 jonic tutti i testi della prima pagina,
della quarta, dei supplementi, delle pagine speciali; la nota politica,
il capocronaca, i servizi degli inviati speciali, le corrispondenze di
maggiore rilievo. Tutto il resto del giornale sarà composto in c.7
jonic. Il c.10 jonic chiaro e l'8 permanent, potranno essere usati
soltanto per note a doppia giustezza. Il corsivo è abolito in ogni caso.-

Nei 
titoli si dovranno evitare le virgolette e i punti interrogativi e
esclamativi. Dopo i due punti, segue la maiuscola. In una pagina si può
fare solo un titolo con i due punti.-
Le virgolette non devono
essere usate per alludere a un significato diverso da quello proprio
della parola; si useranno, invece, per le frasi tratte da lingue
straniere per i titoli di giornali, libri, riviste, raccolte, per i
termini tecnici di qualsiasi lingua. Le parole straniere tra virgolette
vanno sempre in tondo. Le parole straniere entrate nell'uso come brain,
trust, dossier, establishment, sport, film, reporter, derby, flirt,
nurse etc, vanno sempre tra virgolette, queste vanno poste all'inizio
della citazione, all'inizio di ogni capoverso successivo e alla fine
della citazione.
-
Nel discorso diretto dopo i due punti e le virgolette segue la maiuscola.
-
Le sigle vanno tutte in maiuscolo (es. PCI e non Pci) e senza punti intermedi (es. ANSA e non A.N.S.A.).
-
Nell'enumerare
 in un testo più argomenti non si scriva 1) 2) 3) ma 1.2.3. seguiti 
dalla maiuscola e concludendo il testo dei singoli paragrafi con punto
e virgola.
-
Po' per poco si scrive con l'apostrofo e non con l'accento.
-
Si scrive se stesso e non sé stesso.
-
Si scrive della " Stampa", sul "Trovatore", della Spezia e non del "La Stampa" su "Il Trovatore", de La Spezia.
-
Le
 maiuscole vanno usate in modo parsimonioso (nome e cognome, città,
nazioni). Sono sempre da evitare quelle reverenziali sia per gli enti
che per i loro titolari. Uniche eccezioni la parola Repubblica, quando
ci riferiamo alla repubblica italiana, Papa e Presidente quando non
sono seguiti da nome del papa o del presidente della Repubblica.
-
Ogni
 servizio deve curare l'unificazione di alcuni termini (per es.
laborismo e non laburismo; Mao Tse-Tung e non Mao Tse Tung; Teng
 Hsiao-Ping e non Teng Hsiao Ping).
-
Le congiunzioni ed e ad possono essere usate solo se collegano parole che cominciano rispettivamente per e e per a.
-
Non
si usano verbi inventati, come evidenziare, presenziare, potenziare,
 disattendere; o superflui come effettuare per fare, iniziare per
cominciare; i francesismi come "a mio avviso"; le frasi fatte come
madre snaturata, folle omicida, agghiacciante episodio, in preda ai 
fumi dell'alcool, i nodi da affrontare, nell'occhio del ciclone,
l'apposita commissione, e gli aggettivi che servono a caricare
 d'infamia chi non ne ha bisogno, come criminale fascista, l'infame
dittatore.-
 Con preghiera di fare più giornalismo e meno ideologia.
 Arrigo Benedetti  
fonte :  www.odg.mi.it 
vedere OgniSette

vedere : ISI Barga
              Liceo Machiavelli


mercoledì 30 maggio 2012

I RACCONTI LUCCHESI DI IDELFONSO NIERI


da  Cento Racconti Popolari Lucchesi                                                                


di   Idelfonso Nieri  


                                                                          
           




BELLA MANIERA D’ OTTENER LE GRAZIE !

Una certa donnetta era lì in chiesa davanti a un altare e pregava: ci era sola o se lo credeva.  Pregava e diceva che era povera, e che Gesù l’aiutasse e gli mandasse qualcosa, perché così non sapeva come fare per andare avanti.
Tutto a un colpo gli viene un’idea, allunga una mano e dice :

La miseria mi travaglia
Piglierò questa tovaglia

E intanto tirava.  La tovaglia veniva via facile e i candelieri che ci eran posati su, venivano anco quelli: è naturale.
Allora lei dice :  
Me la date volentieri :
piglierò anco i candelieri.

E così fece tutto un fagotto. Poi si voltò al Crocefisso che era sopra l’altare e stava lì bono e pareva che la guardasse e lei dice :

Mi guardate affisso affisso….
Piglierò anco il Crocifisso….

Stacca il Crocefisso d’in sul piedistallino,  e via!

A quella maniera lì si fa presto a essere esauditi.




venerdì 25 maggio 2012

PREMIO ARRIGO BENEDETTI EDIZIONE 2012


COMUNE DI BARGA
24 MAGGIO 2012



ARRIGO BENEDETTI
(Lucca1 giugno 1910 – Roma26 ottobre 1976)


Si diploma al liceo classico «Niccolò Machiavelli» e frequenta la Facoltà di Lettere e filosofia all’Università di Pisa. Conosce Mario Pannunzio, che ha la sua stessa età ed abita in un appartamento vicino al suo. Tra i due nasce un'amicizia che durerà tutta la vita. Nel 1937 abbandona gli studi universitari e decide di raggiungere Pannunzio a Roma. Desidera diventare scrittore. Inizia a collaborare a periodici culturali, tra cui Libro italiano (una rivista bibliografica). Pubblica i suoi primi racconti, in cui interpreta la vita quotidiana della sua terra. Insieme con Pannunzio conosce Leo Longanesi, che nella capitale ha appena fondato il settimanale Omnibus. Con Longanesi come maestro, Benedetti fa le sue prime esperienze da giornalista.
In breve tempo la passione giornalistica lo conquista e Benedetti decide di specializzarsi in questa professione. Nel 1938 si sposa nella Chiesa di Fagnano, a Lucca, con Caterina, sua lontana parente (i due si conoscevano fin da bambini).
Nel 1939 Omnibus viene soppresso dal regime dopo soli due anni di vita. Benedetti segue Longanesi, chiamato a gestire un'altra testata, Tutto. Ma dopo tre numeri Longanesi viene nuovamente allontanato.
Benedetti decide allora di accettare l'offerta di Angelo Rizzoli di andare a Milano, insieme con Mario Pannunzio, e creare un nuovo giornale. Il 3 giugno 1939 esce il primo numero del settimanale Oggi. Però anche questo settimanale ha vita breve: nel 1942 non esiste più.
Nel 1943 nasce il primo figlio, Alberto. Dopo l'8 settembre 1943, Benedetti si rifugia sui monti dell'Appennino reggiano, partecipando attivamente ai movimenti della resistenza. Viene anche arrestato e incarcerato a Reggio Emilia, ma evade e si rifugia a Milano.
Dopo la Liberazione, accetta l'offerta di fare il critico teatrale per il Corriere Lombardo, quotidiano del pomeriggio. Nel 1945 fonda, con l'imprenditore Gianni Mazzocchi, un nuovo settimanale d'informazione, L'Europeo. Il successo della rivista arreca a Benedetti fama ed onori. Nel 1953 la testata è rilevata da Angelo Rizzoli. Inaspettatamente, con Rizzoli la collaborazione è difficile: in breve tempo si crea un clima da "muro contro muro". Dopo un anno, Benedetti si scontra con l'editore sullo scandalo dell'omicidio di Wilma Montesi. Nel clima surriscaldato dalle notizie sui risvolti politici del caso, Benedetti rassegna le dimissioni «in seguito a dissensi di ordine politico ed editoriale» (1954).
Uscito da L'Europeo, l'anno seguente Benedetti fonda un nuovo settimanale, L'espresso, destinato anch'esso a diventare uno dei maggiori periodici italiani del dopoguerra. Esce anche da questo settimanale all'indomani della guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967), per contrasti con Eugenio Scalfari, che ne avversa la linea favorevole allo stato d'Israele [1].
Giornalista di fama, è stato anche inviato speciale de La Stampa. Assume in seguito la direzione de:
Nel corso della sua lunga carriera è stato maestro di molti giornalisti. Alcuni nomi: Camilla CedernaUgo StilleGiancarlo Fusco ed Alfredo Todisco.
fonte : Wikipedia

giovedì 24 maggio 2012

PASCOLI A BARGA - FILM DOCUMENTARIO


1912 - 2O12
                                                                     
COMUNE DI BARGA   -   FONDAZIONE GIOVANNI PASCOLI


24 MAGGIO  ore 21



mercoledì 16 maggio 2012

GITA AL MONTE CROCE 12 MAGGIO 2012


Alpi Apuane
                                                                                                        


2° Piano Kedrion in Gita al Monte Croce 



12 maggio 2012

Non ci poteva essere una mattinata più bella quale scenario alla partenza da Gallicano della gita al Monte Croce, nel Parco delle Alpi Apuane, organizzata dal 2° Piano Kedrion.  I 27 partecipanti e tre adorabili rappresentati del mondo canino, si sono ritrovati puntualmente al piazzale delle ex scuole e, alle 8,45 il gruppo delle auto si è messo in movimento in direzione Palagnana. Il percorso lungo la Turrite Cava, con il lago artificiale dalle acque di un verde smeraldo intenso; il passaggio per Fabbriche di Vallico con lo splendido fabbricato e i due ponti in pietra;i suoi mulini;  e ancora su per la strada in una valle verde, vera e non di “carosello”, con scorci sulle montagne sovrastanti e immagini incantevoli del torrente dalle acque limpidissime, ha raccontato a tutti della straordinaria bellezza di questa nostra terra di Garfagnana: e siamo solo all’inizio.

Palagnana, frazione del comune di Stazzema, in Versilia, oltre lo spartiacque del crinale apuano, ci ha accolti con la sua tradizionale quiete dei paesini di montagna ma da un passato di rispetto, come stanno a testimoniare la sua chiesa , il campanile che la sua vista ci accompagnerà per gran parte dell’itinerario, e la sede della Banca Toscana oggi sede di un circolo sociale.

Lasciate le auto, zaino in spalla, un’ultima stretta ai lacci degli scarponcelli e…via lungo il percorso che all’inizio percorre un tratto di strada asfaltata, poi lungo le vie lastricate che attraversano piccoli nuclei di abitazioni dove ancora si sentono gli odori del buon vivere di un tempo, del pane cotto nel forno, del focolare di legna; attraverso orti, costeggiando pollai e sotto lo sguardo di due muli che tranquillamente ci osservano incuriositi, fino a giungere all’inizio del sentiero.  Il percorso adesso, che rivela ancora oggi le tracce di una antica mulattiera ad esempio delle vie di comunicazione di un tempo, sale in mezzo ad un bosco, prima di castagno e cerro poi di faggio, dove incontriamo una fonte di acqua freschissima eretta ne 1959 con su scolpita una frase che invita al rispetto della montagna. Successivamente passa a fianco di due maestaine, la seconda, più ampia, in prossimità del “Termine” o Colle delle Baldorie, dove ancora possiamo vedere i cippi che dalle lettere scolpite, indicano il confine tra Gran Ducato di Toscana e il Ducato di Modena.  Da qui il percorso in falsopiano ci porta in breve fuori dal bosco, sui pascoli: la spettacolare vista che si apre sui pendii erbosi freschi e luminosi del monte Croce e su le pareti di roccia e i ripidi fianchi di paleo del gruppo delle Panie è  straordinario.

Adesso il gruppo che si è riunito per una breve sosta, riprende il cammino alla volta della vetta. Di nuovo si sgrana; il sentiero sale ripido in mezzo ad un verde primaverile straordinario fitto di giunchiglie fiorite, sotto un cielo azzurro:  chi è più allenato guadagna quota, altri con calma e tenacia li seguono decisi alla meta. In mezzo ancora a giunchiglie, genziane e rare orchidee selvatiche conquistiamo la cima dove ci accoglie la “croce” del Monte Croce e dove una bandiera arcobaleno della pace, “frastuona” sotto la sferza di un vento insistente proveniente dal mare.


Le Apuane , il mare e la costa della Versilia, le isole che s’intravedono tra la foschia, il panorama sulla piana di Lucca e a sud, verso Livorno e oltre, sono di una bellezza indescrivibile. Per alcuni è la prima volta e la soddisfazione e visibile e giustificata.
Sottovento, sostiamo per il pranzo. Alcuni si adagiano sul prato sotto questo sole caldo che fa’ dimenticare i giorni passati di una primavera tradita.  Foto di gruppo, per ricordo. Un bicchiere di buon vino. Ristorati riprendiamo il cammino di ritorno. Percorriamo il sentiero panoramico che aggira il Croce, un sentiero che alterna lunghi tratti su pista erbosa e altri, brevi, su roccia. Il gruppo di nuovo si sgrana.  Si riunisce alla foce del Pollino. Sotto l’ombra di alcune piante si prende un attimo di riposo. Ora il sentiero è attrezzato con catene e discende lungo il fianco di un canale roccioso, si chiama “Le scalette”, infatti ha dei gradini intagliati in alcuni punti. Qui la scoperta del Presepe, allestito in una piccola grotta naturale che stupisce e attrae grandi e giovani del gruppo, di una bellezza assolutamente francescana. Grazie Daniele (sappiamo noi chi…)…
Al termine di questo passo, che chiude forse la parte del percorso più impegnativa ma caratteristica delle nostre apuane, ci ritroviamo alla Foce delle Porchette, valico che collega la valle della Turrite con il versante della Versilia.
Di nuovo riuniti, una sosta breve per ristorarsi e riprendere le forze per affrontare il tratto che ci riporta a Palagnana. Ancora per tracce di antica mulattiera, nel fresco del bosco, finchè poi la si perde in una pista inghiaiata che con minore interesse ci immette nell’ultime decine di metri di asfalto che ci portano alle auto.
Una citazione di merito va alla squadra nei nostri giovani, alcuni giovanissimi, ma veramente bravi : Vittoria, Ginevra, Luigi, Andrea, Leonardo e Lorenzo.
Una menzione d’onore a Wendy, Aila e Woody per aver percorso almeno tre volte tutto l’itinerario con disciplina e fedeltà,  riservando per tutti una discreta attenzione.
Un elogio per i nostri amici per la loro prima volta al Monte Croce e una cordiale stretta di mano a tutti i partecipanti; grazie per aver condiviso una giornata stupenda, passata nel bello della nostra terra.
Un saluto e… appuntamento alla prossima.

m.



Partecipanti :
Vittoria, Ginevra, Luigi, Andrea , Leonardo, Lorenzo, Martina,Daniele,Emilia, Paolo, Lucia, Tiziano, Roberta, Barbara, Marco, Enrica, Alberta, Luca,Annalisa, Ryo, Mario, PierLuigi, Sara, Leo, Mario, Domenico, Marco. E…Wendy, Aila e Woody


Le foto nel testo e di seguito, compreso il video, sono dell'amico Daniele Saisi 


(Nei prossimi giorni ne metteremo altre, scattate dai partecipanti alla gita)

giovedì 10 maggio 2012

STELUTIS ALPINIS - Canto Friulano


Stella Alpina


Stella Alpina



Stelutis alpinis è uno fra i più celebri brani corali della tradizione italiana, composto da Arturo Zardini (Pontebba, 9 novembre 1869 – Udine, 4 gennaio 1923).
Scritto in friulano è per gli abitanti di questa regione, e non solo, un vero e proprio inno. Composto da Zardini quando era profugo a Firenze durante la prima guerra mondiale, non è un brano popolare ove per popolare si intenda di provenienza orale e quindi di valenza assoluta per gli appassionati di etnomusicologia, ma si tratta di un brano d'autore sia nel testo che nella musica.

testo  :


(FUR)
« Se tu vens cà sù ta' cretis,
là che lôr mi àn soterât,
al è un splàz plen di stelutis:
dal miò sanc 'l è stât bagnât.

Par segnâl une crosute
jé scolpide lì tal cret:
fra chês stelis nàs l'arbute,
sot di lôr jo duâr cuièt.

Ciol sù, ciol une stelute:
je 'a ricuarde il néstri ben,
tu 'i darâs 'ne bussadute,
e po' plàtile tal sen.

Quant che a ciase tu sês sole
e di cûr tu preis par me,
il miò spirt atòr ti svole:
jo e la stele sin cun té. »
(IT)
« Se tu vieni quassù tra le rocce,
laddove mi hanno sepolto,
c'è uno spiazzo pieno di stelle alpine:
dal mio sangue è stato bagnato.

Come segno una piccola croce
è scolpita lì nella roccia:
fra quelle stelle nasce l'erbetta,
sotto di loro io dormo sereno

Cogli cogli una piccola stella:
a ricordo del nostro amore.
Dalle un bacio,
e poi nascondila in seno.

Quando a casa tu sei sola
e di cuore preghi per me
il mio spirito ti aleggia intorno
io e la stella siamo con te. »
(Stelutis alpinis)



it.wikipedia.org/wiki/Stelutis_alpinis




Arturo Zardini



Qui di seguito, vi proponiamo una versione in italiano di Francesco De Gregori e successivamente  la versione tradizionale in dialetto Friulano, nella esecuzione del Coro della Sosat, entrambe molto belle, entrambe nella loro diversità di interpretazione capaci di suscitare emozione.  


Francesco De Gregori






CORO della SOSAT









e per concludere, una leggenda ladina sulla Stella Alpina:



Stelutis Alpinis - Cervinia

Narra una leggenda ladina che in un paesino ai piedi di un monte viveva un giovane mugnaio, CEPIN, innamorato della bella e superba figlia del borgomastro. Quando CEPIN si dichiarò, lei, che non lo riteneva alla sua altezza, lo sfidò a portarle l'acqua della vita. Era un'impresa impossibile perché quell'acqua sgorgava da una fonte sulla cima della montagna ed era protetta da nani malvagi. Ma CEPIN non si spaventò, prese una borraccia e scalò il monte. Arrivato in cima, vide la sospirata fonte e si avvicinò per riempire la borraccia, ma la superficie dell'acqua era liscia e dura come il vetro. Disperato, CEPIN disse che quell'acqua non era di vita, ma di morte, perché lui sarebbe morto, senza la fanciulla che amava.
Come per magia l'involucro duro si dissolse facendo apparire una distesa di fiori bianchi e vellutati a forma di stella. CEPIN ne colse un mazzolino e fece per andarsene, ma i nani lo catturarono e lo scagliarono giù dalla montagna. Mentre precipitava, le stelle gli sfuggirono di mano e si persero fra le rocce, dove da allora fioriscono ogni estate. Uno di quei fiori, però, si fermò sul cuore di CEPIN, salvandogli la vita. Dopo la brutta caduta, CEPIN capì che non valeva la pena di rischiare la vita per una donna capricciosa, così sposò una brava ragazza modesta e gentile.
E non se ne pentì mai.



mercoledì 9 maggio 2012

"THE HAMMERLESS GUN" Poesia di Giovanni Pascoli

da: I Canti di Castelvecchio

      Giovanni Pascoli
      1912   -  2012
   





"THE HAMMERLESS GUN"


To the children Percy and Valente de Bosis



 Dunque un hammerless! un... hammerless! (dono
 
del vostro babbo, o Percy, o Valentino;
 
del nostro Adolfo, il sapiente, il buono

 
simposiarco)... O montanine belle,
 
lo vedrete il maestro di latino!
 
sì, lo vedrete il pedagogo imbelle!

 
E lungamente mi sorriderete,
 
quando venite ai Vespri a questa Cura
 
di San Nicola. Un hammerless! Sapete?
 
che non ha cani: a triplice chiusura.

 
-Bello, ma dica: quello del Fusari...
 
-Questo è un hammerless! -  Quello non ha cani.
 
-Questo è inglese! - Ah! inghilese!  - Di Field, cari!-

 
Tacciono: io regno indifferente e cupo.
 
-Codeste selve batterò domani...
 
tra me dico, a voce alta.  - In bocca al lupo! –

 
Ecco l'alba (tra selve aride i fossi
 
vanno col fumo di vaporiere),
 
piena d'un tintinnìo di pettirossi,
 
cui risponde un tac tac di capinere...

 
Su la nebbia che fuma dal sonoro
 
Serchio, leva la Pania alta la fronte
 
nel sereno: un aguzzo blocco d'oro,

 
su cui piovano petali di rose
 
appassite. Io che l'amo, il vecchio monte,
 
gli parlo ogni alba, e molte dolci cose
 
gli dico:

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LA PANIA

 
O monte, che regni tra il fumo
 
del nembo, e il suo lampo e il suo squillo,
 
tu nutri nei poggi il profumo
 
del gracile timo serpillo.

 
Tu pascoli le api, o gigante:
 
tu meni nei borri profondi
 
la piccola greggia ronzante.

 
Sei grande, sei forte: e dai cavi
 
tuoi massi tu gemi, tu grondi
 
del limpido flutto dei favi.

 
Sei buono tu, grande tra i grandi;
 
né spregi la nera capanna.
 
Al pio boscaiolo tu mandi
 
sovente la ricca tua manna.

 
Gli mandi un tuo sciame, che scende
 
giù giù per la valle remota,
 
qual tremulo nuvolo, e splende.

 
Lo segue un tumulto canoro;
 
ché timpani, cembali, crotali 

     chiamano il nuvolo d'oro.


  Dico: egli ride roseo, ma scorso
  il suo minuto, ridoventa azzurro
 
e grave. Io scendo lungo il Rio dell'Orso;
 
ne seguo un poco il fievole sussurro.

 
E me segue un tac tac di capinere,
 
e me segue un tin tin di pettirossi,
 
un zisteretetet di cincie, un rererere

 
di cardellini. Giungo dove il greto
 
s'allarga, pieno di cespugli rossi
 
di vetrici: il mio luogo alto e segreto.

 
Giungo: e ne suona qualche frullo, un misto
 
di gridii, pigolii, scampanellii,
 
che cessa a un tratto. L'hammerless m'ha visto
 
un fringuello, che fa: Zitti! sii sii


(sii sii è nella lingua dei fringuelli
 
quello che hush o still, o Percy, in quella
 
di mamma: zitti! tacciano i monelli)...

 
E sento tellterelltelltelltelltell (sai?
 
tellterelltelltelltell nella favella
 
dei passeri vuol dire come out! fly!

 
scappa, boy, c'è il babau!)... Dunque più nulla.
 
Silenzio. Odo il ruscello che gorgoglia,
 
e non altro. Il fringuello agile frulla
 
e, lontano, finc finc... Cade una foglia...

  Proprio l'ultima (guardo) d'un querciolo
 
secco! E` bastato il soffio di quell'ala,
 
è bastata la molla di quel volo:

 
eccola giù. Mi siedo sopra il greppo.
 
Era come una spoglia di cicala
 
(penso), rimasta a quel non più che un ceppo:

 
era gialla, era gracile; ma era
 
l'ultima; che più dì, pendula, tenne...
 
Come il povero vecchio ora dispera,
 
vicino al Rio che mormora perenne!

 
Sono mesto. Perché? Non lo so dire.
 
Intanto, tra le canne, tra la stipa,
 
sento un brusire ed uno squittinire,

 
che dico? un parlottare piano piano.
 
Ma sì, parlano a me, che dalla ripa
 
tacito ascolto, il mento su la mano.


 
Sento:

IL PITTIERE


- Tin tin! anche te? che c'invidi
 
due pippoli e due gremignoli?
  tin tin, te che piangi sui nidi
 
che pìano pìano soli?

 
Si viene, tu vedi, da bianche
 
montagne, da boschi d'abeti,
 
con l'ale, puoi credere, stanche.

 
Si fa questi bruci, che sono
 
nei bussoli e negli scopeti...
 
Sapessi che fame!... Sii buono! -.


 
E poi:








LA CAPINERA


 -Tac tac! anche te? non rammenti
  le sere di quella tua mesta
 
città? le tue lagrime ardenti?
 
quel canto d'ignota foresta

 
tra l'onda di tante campane,
 
tanti urli di folla, e tra il sordo
 
fragore di ruote lontane?

 
Piangevi: e sonava il mio canto,
 
con l'eco d'antico ricordo,
 
col suono di nuovo rimpianto –.

 
E poi:












L'ALLODOLA




 
- Uid uid! anche tu ci fai guerra?
 
tu che ci assomigli pur tanto,
 
col nido tra il grano, per terra,
 
ma sopra le nubi, col canto?

 
Te rode una cura segreta;
 
tu cerchi l'oblìo de' tuoi mali.
 
Ma sei come tutti, o poeta?

 
Tu piangi il tuo povero nido
 
per terra... Ma vieni, ma sali,
 
ma lancia nel sole il tuo grido! –

 
Cara allodola! - E dopo? - Dopo? Impugno
 
l'hammerless e... ritorno via. Si rischia
 
d'infreddare: gennaio non è giugno.
 
Tra i ginepri c'è un merlo che mi fischia.

 
E un forasiepe: - Eh! tu torni... so dove.
 
Oh! il tuo bel nido, che nemmen ci piove!