A TUTTI
giovedì 31 dicembre 2015
lunedì 28 dicembre 2015
venerdì 25 dicembre 2015
lunedì 21 dicembre 2015
Solstizio d'Inverno 2015
22 Dicembre 2015 alle 0re 5,48
Da domani mattina inizia l'inverno, la stagione nella quale il Sole inizia di nuovo a riprendere vantaggio sulla Notte. E' il tempo dell'attesa, giorno dopo giorno, del ritorno della Primavera.
L' Inverno, come ogni stagione, ha il suo fascino che trova espressione nell'arte.
Antonio Vivaldi
Inverno nell'Arte
Pieter Brueghel il Giovane, Pattinatori e Trappola per uccelli 1605
rif Beni Culturali
Antonio Vivaldi
Inverno - da "Le quattro Stagioni"
"English Chamber Orchestra - Stephanie Gonley"
informazioni
da SetteMuse.it
domenica 13 dicembre 2015
Castelvecchio Pascoli, 12 Dicembre 2015
in ricordo di questo giorno di tristezza
Il Ciocco
di Giovanni Pascoli
Canto Primo
Il babbo mise un gran ciocco di quercia
su la brace; i
bicchieri avvinò; sparse
il goccino avanzato; e
mescè piano
piano, perchè non
croccolasse, il vino.
Ma, presa l’aria, egli
mesceva andante.
E ciascuno ebbe in
mano il suo bicchiere,
pieno, fuor che i
ragazzi: essi, al bicchiere
materno, ognuno ne
sentiva un dito.
Fecero muti i
vegliatori il saggio,
lodando poi, parlando
dei vizzati
buoni; ma poi
passarono allo strino,
quindi all’annata
trista e tribolata.
E le donne ripresero a
filare,
con la rócca infilata
nel pensiere:
tiravano, prillavano
accoccavano
sfacendo, i gruppi a
or a or coi denti.
Come quando nell’umida
capanna
le magre manze
mangiano, e via via,
soffiando nella bassa
greppia vuota,
alzano il muso, e
dalla rastrelliera
tirano fuori una
boccata d’erba;
d’erba lupina co’ suoi
fiori rossi,
nel maggio indafarito,
ma nel verno,
d’arida paglia e
tenero guaime;
così dalla mannella,
ogni momento,
nuova tiglia guidata
era nel fuso.
Io dissi: “Brucia la capanna a gente!„
E i vegliatori, col
bicchiere in mano,
tutti volsero gli
occhi alla finestra,
quasi a vedere il
lustro della vampa,
ad ascoltare il
martellare a fuoco,
ton ton ton, nella
notte insonnolita.
Non c’era nella notte
altro splendore
che di lontane
costellazioni,
e non c’era altro
suono di campana,
se non della campana
delle nove,
che da Barga ripete al
campagnolo:
- Dormi, che ti fa
bono! bono! bono! -
Non capparone ardeva
per le selve,
zeppo di fronde aspre
dal tramontano;
non meta di vincigli
di castagno,
fatti d’agosto per
serbarli al verno;
non metato soletto in
cui seccasse
a un fuoco dolce il
dolce pan di legno:
sopra le cannaiole le
castagne
cricchiano, e il rosso
fuoco arde nel buio.
Al buio il rio mandava
un gorgoglìo,
come s’uno ci fosse a
succhiar l’acqua.
Tutto era pace: sotto
ogni catasta
sornacchiava il suo
ghiro rattrappito.
In cima al colle un
nero metatello
fumava appena in mezzo
alla Grand’Orsa.
Che bruciava?... La
quercia, assai vissuta,
fu scalzata da molte
opre, e fu svelta
e giacque morta. Ma la
secca scorza,
all’acqua e al sole
rifiorì di muschi
e un’altra vita
brulicò nel legno
che intarmoliva: un
popolo infinito
che ben sapeva
l’ordine e la legge,
v’impresse i solchi di
città ben fatte.
E chi faceva nuove
case ai nuovi,
e chi per tempo
rimettea la roba,
e chi dentro
allevavali dolci figli,
e chi portava i cari
morti fuori.
Quando s’udì l’ingorda
sega un giorno
rodere rauca torno
torno il tronco;
e il secco colpo
rimbombò del mazzo
calato da un ansante
ululo d’uomo.
E il tronco sodo ora
spuntava fuori
la zeppola d’acciaio
con uno sprillo,
or la pigliava, e si
sentiva allora
crepare il legno
frangolo, e stioccare
le stiglie or dalla
gran forza strappate,
ora recise dalla
liscia accetta:
lucida accetta che
alzata a due mani
spaccava i ciocchi e
ne facea le schiampe.
Le schiampe alcuno
accatastò; poi altri
se le portò nella
legnaia opaca.
Del popolo infinito
era una gente
rimasta in un dei
ciocchi. Ebbe l’accetta
molte case distrutte,
ebbe d’un colpo
il mazzo molte sue
tribù schicciate.
Ma i sorvissuti non
sapean già nulla
chè, volgendo i lor
mille anni in un anno,
chi schivò l’ascia,
chi campò dal mazzo,
l’ago sentì, che, dopo
un po’ che cuce,
il Tempo, uggito,
punta nel lavoro,
e se ne va. Nessuno
ora sapeva
che il mondo loro fu
congiunto al tutto
della gran quercia,
sotto un cielo azzurro.
Sapeva ognuno che non
c’era altr’aria
che quell’odor di
mucido, altro suono
che il grave gracilar
delle galline
e il sottile stridìo
dei pipistrelli:
dei pipistrelli che
pendeano a pigne
dai cantoni, nel
giorno, quando il sole
facea passare i fili
suoi tra i licci
d’una tela che ordiva
un vecchio ragno.
Così passava la lor
cauta vita
nell’odoroso tarmolo
del ciocco:
e chi faceva nuove
case ai nuovi.
e chi per tempo
rimettea la roba,
e chi dentro allevava
i dolci figli,
e chi portava i cari
morti fuori.
E videro l’incendio ora e la fine
i vegliatori: disse
ognun la sua.
E disse il Biondo, domator del ferro,
cui la verde Corsonna
ama, e gli scende
cantando per le selve
allo stendino,
e per lui picchia non
veduta il maglio:
“Vogliono dire ch’hanno tutti i ferri,
quanti con sè porta il
bottaio, allora
ch’è preso a opra
avanti la vendemmia:
l’aspro saracco,
l’avido succhiello,
e tenaglie che
azzeccano, e rugnare
di scabra raspa e
scivolar di pialla.
Che non hanno bottega:
a giro vanno
come il nero magnano,
quando passa
con quello scampanìo
sopra il miccetto;
ossia concino, o
fradicio ombrellaio,
voce del verno, la
qual morde il cuore
a chi non fece le
rimesse a tempo.
Né lëo lëo vanno, come
loro.
Piglian le gambe e
stradano, la vita,
come noi, strinta dal
grembial di cuoio„
E disse il Topo, portatore in collo,
primo, fuor che del
Nero; sì, ma questi
porta più poco, e
brontola incaschito:
— Carico piccolo è che
scenta il bosco:-
“Vogliono dire ch’han la tiglia soda
più che nimo altri che
di mattinata
porti in monte il
cavestro e la bardella.
E hanno l’arte, perchè
intorno al peso
girano ora all’avanti
ora all’indietro
or dalle parti, per
entrarci sotto.
Se lo possono, via,
telano; quando
non lo possono, vanno
per aiuto
e su e su, per una
carraiuola:
come una nera fila di
muletti
di solitari carbonai,
su l’Alpe,
che in quel silenzio
semina i tintinni
de’ suoi sonagli.
Alcuno ecco s’espone,
come anco noi, per
ragionar con altri
che scende, e
frescheggiare allo sciurino„
E disse il Menno, vangatore a fondo,
a cui la terra,
nell’aprir d’aprile,
rotta e domata ai
piedi ansa e rifiata:
e’ la sogguarda curvo
su l’astile:
“Ho inteso dire ch’hanno i suoi poderi,
come noi. Sotto le
città ben fatte
coltano un campo sodo:
che bel bello
si fa lo scasso, e qua
si tira dentro,
là si leva la terra, e
si tramuta
con le pale, o
valletti e cestinelle.
La pareggiano,
seminano. Nasce
un’erba. Ed ecco poi
vanno a pulirla,
levano il loglio,
scerbano i vecciuli,
e scentano la
sciamina, cattiva,
e la gramigna, che riè
cattiva,
e i paternostri, ch’è
peggior di tutte.
A suo tempo si sega,
lega, ammeta,
scuote, ventola,
spula. Eccolo bello
nel bel soppiano dai
due godi il grano„
E disse il Bosco, buon pastor di monte,
ch’era ad albergo:
egli da Pratuscello
mena il branco alla
Pieve, a quei guamacci;
per là dicon guamacci:
è il terzo fieno:
“Ho inteso dire ch’hanno le sue bestie:
quali, pecore, e
quali, proprio bestie,
ossia da frutto,
ovvero anche da groppa.
Ma piccoline e verdi
queste, e quelle
con una lana molle
come sputo:
pascono in cento un
cuccolo di fiore.
E il pastore ha due
verghe, esso, non una:
due, con nodetti, come
canne; e molge
con esse: le vellica,
e danno il latte;
o chiuse dentro, o
fuori, per le prata:
come noi, che si molge
all’aria aperta,
nella statina, le
serate lunghe:
quando su l’Alpe c’è
con noi la luna
sola, che passa, e
splende sui secchielli,
e il poggio rende un
odorin che accora„
E disse il Quarra, un capo, uno che molto
girò, portando santi e
re sul capo,
di là dei monti e del sonante
mare:
ora s’è fermo, e campa
a campanello:
“Lessi in un libro, ch’hanno contadini
come noi; ma non come
mezzaiuoli
timidi sol del Santo
pescatore,
e che, d’Ottobre,
quando uno scasato,
cerca podere, a lui
dice il fringuello:
— Ce n’è, ce n’è, ce n’è, Francesco mio!-
Quelli no: sono negri.
Alla lor terra
venne un lontano
popolo guerriero,
che il largo fiume
valicò sul ponte.
Fecero un ponte: l’uno
chiappò l’altro
per le gambe, e così
tremolò sopra
l’acqua una lunga
tavola. Fu presa
la munita città, presi
i fanciulli,
ch’or sono schiavi e
fanno le faccende;
e il vincitore campa a
campanello„
E qui la China, madre
d’otto figli
già sbozzolati,
accoccò il filo al fuso,
mise il fuso sul
legoro, le tiglie
si strusciò dalla
bocca arida; e disse:
“Io l’ho vedute, come fanno ai figli
le madri, ossia le
balie. Hanno i figlioli
quasi fasciati dentro
un bozzolino.
Lo sa la mamma che lì
dentro è chiuso
il lor begetto, ch’è
cicchin cicchino,
e dorme, e gli fa
freddo e gli fa caldo.
Lasciano all’altre le
faccende, ed esse
altro non fanno che
portare il loro
furigello ora
all’ombra ed ora all’aspro,
in collo, come noi;
ch’è da vedere
come via via lo
tengono pulito,
come lo fanno dolco
con lo sputo;
e infine con la bocca
aprono il guscio,
come a dire, le fasce;
e il figliolino
n’esce, che va da sé,
ma gronchio gronchio„
Così parlando, essi
bevean l’arzillo
vino, dell’anno. E
mille madri in fuga
correan pei muschi
della scorza arsita,
coi figli, e c’era
d’ogni intorno il fuoco;
e il fuoco le sorbiva
con un breve
crepito, nè quel
crepito giungeva
al nostro udito, più
che l’erme vette
d’Appennino e le
aguzze alpi Apuane,
assise in cerchio, con
l’aeree grotte
intronate dal cupo
urlo del vento,
odano lo strider d’un
focherello
ch’arde laggiù laggiù
forse un villaggio
con le sue selve; un
punto, un punto rosso
or sì or no. Né pur
vedea la gente
là, che moriva, i
mostri dalla ferrea
voce e le gigantesse
filatrici:
i mostri che reggean
concavi laghi
di sangue ardente,
mentre le compagne
con moto eterno, tra
un fischiar di nembi,
mordean le bigie
nuvole del cielo.
Ma non vedeva il
popolo morente,
gli dei seduti intorno
alla sua morte,
fatti di lunga
oscurità: vedeva,
forse in cima
all’immensa ombra del nulla,
su, su, su, donde
rimbombava il tuono
della lor voce, nelle
occhiute fronti,
da un’aurora notturna
illuminate,
guizzare i lampi e
scintillar le stelle.
E lo Zi Meo parlò. Disse: “Formiche!
L’altr’anno seminai
l’erba lupina.
Venne la pioggia: non
ne nacque un filo.
Vennero i soli: il
campo parea sodo.
Un giorno che v’andai,
vidi sul ciglio
del poggio un
mucchiarello alto di chicchi.
Guardai per tutto. Ad
ogni poco c’era
un mucchiarello. Erano
semi, i semi
d’erba lupina. Avean
rumato poco?
Non un chicco, ch’è un
chicco, era rimasto!
Aveano fatto, le
formiche, appietto!
E ben sì che v’avevo
anco passato
l’erpice a molti
denti, e su la staggia,
per tutte bene
pianeggiar le porche,
mi facev’ir di qua dì
là, come uno
fa, nel passaggio, in mezzo all’Oceano„
domenica 6 dicembre 2015
giovedì 3 dicembre 2015
"SPAZIO BIANCO - SULLE TRACCE DI PAULCKE"
da LoScarpone
"Da sempre la montagna è per l’uomo
Mostra fotografica nel 40° anno dalla fondazione della scuola di alpinismo e scialpinismo del Club Alpino Italiano Guido Della Torre al Palamonti di Bergamo
fino al 15 Gennaio 2016
foto da LoScarpone |
Wilhelm Paulcke (wikipedia) |
Viaggio nella memoria, alle origini dell’alpinismo a sci
La scuola di alpinismo e scialpinismo del CAI Guido Della
Torre ha ripercorso la traversata a sci dei ghiacciai dell’Oberland bernese del
1897. Le foto sono diventate un libro e una mostra (al Palamonti di Bergamo
fino al 15 gennaio 2016).
"Da sempre la montagna è per l’uomo
luogo di esperienze e riflessioni intense,
di più o meno inattese rivelazioni
su se stesso e sulla vita"
leggi tutto QUI
il catalogo della mostra
- "Spazio Bianco. Sulle tracce di Paulcke. Viaggio nella memoria, alle origini dell’alpinismo a sci."
- Fotografie di Claudio Camisasca e Davide Pravettoni
- Nomos Edizioni
Etichette:
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Mostra fotografica,
Palamonti Bergamo,
sci alpinismo,
Spazio Bianco,
Wilhelm Paulcke
mercoledì 2 dicembre 2015
VICENZA - MARZO 2015
VICENZA |
alla Basilica Palladiana di Vicenza e
Monumento a Palladio
Visita alla Mostra di Linea D'Ombra:
Tutankhamon
Caravaggio
VanGogh
La sera e i notturni
dagli Egizi
al Novecento
ideata e curata da Marco Goldin
Michelangelo Merisi da Caravaggio - San Francesco in estasi (1594-1595) |
Munumento a Palladio |
Piet Mondrian - Red Tree (1909) |
la Basilica |
Vincent Van Gogh Sentiero di notte in Provenza (Strada con cipresso e stella) 1890 |
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