venerdì 8 giugno 2012

CASE, AMORI, UNIVERSI


FOSCO MARAINI

1912 - 2O12



L'ORRIDO DI BOTRI



Erano in cinque o sei, i ragazzi, sul fondo più selvaggio e remoto dell’Orrido di Botri, nell’Appennino lucchese, un meriggio d’autunno.  Oggi l’Orrido di Botri, un serpeggiante taglio verticale, strettissimo, con pareti di roccia alte in più luoghi oltre un centinaio di metri, scavate nei millenni da un torrentaccio che gli scorre fragorosamente  sul fondo, è divenuto una delle meraviglie naturali più famose della Toscana; una strada asfaltata porta fino all’imbocco della forra selvaggia, segnali appositi ne indicano l’esatta ubicazione, e nei giorni estivi di festa dozzine, centinaia di persone d’ogni età lo invadono rompendo con i loro gridi di richiamo e di meraviglia gli antichi silenzi.  Ma allora Botri era pressochè sconosciuto.
In macchina si poteva, respirando molta polvere, raggiungere il paesotto di Tereglio, abbarbicato sulla cresta d’un poggio silvano a circa quindici chilometri dalla forra: in motocicletta, guidando con la testardaggine dei fuoristrada, ci si poteva avvicinare un poco di più, ma in definitiva si trattava di una località dall’accesso veramente difficile.  Clé ne aveva letto qualche cenno su di un numero arretrato della rivista mensile pubblicata dal Club Alpino, ma nessuno degli amici c’era mai stato.
La spedizione a Botri, a cavallo delle moto, fu memoranda.  Lasciati i veicoli ai piedi d’un annoso castagno, proseguendo a lungo per sentieri appena indovinabili nel bosco, i ragazzi si videro a un certo punto chiudere addosso le pareti calcaree delle montagne, le ultime propaggini digradanti dall’Alpe delle Tre Potenze (1937 metri, antico punto d’incontro dei domini di Firenze, Lucca e Modena).  Tutt’intorno boscaglie quasi verticali di faggi, carpini, frassini, cerri s’inerpicavano verso il cielo.  Qua e là fu notato perfino qualche esemplare rarissimo di tasso selvatico, con le sue bacche rosse.  Ben presto fu necessario entrare nell’acqua gelida del torrentaccio, in certi punti fino alla vita.  I ragazzi stavano forzando “le Chiuse di Botri”.
Avanti, avanti per oltre un chilometro. In certe strette le pareti opposte si avvicinavano a tal punto che il cielo, lassù, chissà dove, era ridotto a una serpe irregolare di luce cilestrina, per di più filtrata dai rami di faggi abbarbicati tra le rupi, e in basso da drappeggi di capelveneri, di felci d’ogni genere.  Stillicidi prodigiosi nutrivano cuscini, coltri di muschi mai visti; e si scoprivano piante rare altrove, strane specie che godevano solo d’ombre e d’umidore, come si trovano agli imbocchi delle grotte.  Faceva freddo. Qualcuno starnutiva.  Tutti erano bagnati come avessero camminato a lungo sotto una pioggia scrosciante.
Ma finalmente le pareti dei monti s’allargarono, si separarono.  Venne raggiunta una smisurata, favolosa corte naturale, rinchiusa da muraglie di rocce dai colori chiari, simili alle pareti di marmo d’un palazzo fatato.  Gli ultimi spalti, quasi mille metri più in alto, si avvicinavano alle vette dell’Alpe delle Tre Potenze.  Che sensazione indicibile di scoperta, di sconfinamento dal mondo !
…..
brano tratto da “case, amori, universi” di Fosco Maraini – ed. Mondadori  1999 


Maraini, Fosco

Dizionario Biografico degli Italiani
MARAINI, Fosco. - Nacque a Firenze, il 15 nov. 1912, da Antonio, affermato scultore, e da Yoi Pawlowska Crosse, inglese di origine polacca, vissuta da bambina in Ungheria, scrittrice di novelle e racconti di viaggio.Fin dal bilinguismo familiare, già nella prima infanzia, l'esistenza del M. fu caratterizzata da una molteplicità di abitudini, tradizioni, orizzonti culturali anche in marcato contrasto ("in famiglia le differenze prevalevano sulle somiglianze", Gli ultimi pagani, Como 1997, p. 9), percepiti con naturale curiosità
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