sabato 1 marzo 2014

Con gli sci nelle Alpi Apuane - 2

da:
LE ALPI
Rivista mensile del Centro Alpinistico Italiano
1940-41 - vol. LX - n. 5-6







SULLA TAMBURA



Una mattina di aprile, dalla cima della Tambura avevamo guardato la lunga distesa di neve che scende verso la Garfagnana; avevamo guardato le grandi concavità che la neve forma sopra le buche le quali , anche d’estate, fanno somigliare questo versante ad un paesaggio lunare, e sorridendo un po’ increduli avevamo pensato agli sci…

E una sera di marzo ci siamo trovati abbrutiti da un peso indegno, a salire  la lunga lizza che da Resceto porta al rifugio Aronte.

Saliamo in silenzio sul marmo grigio.  Ogni tanto, i sassi smossi dagli scarponi cominciano a rotolare pigramente con un suono metallico, poi si fermano.  Nella pallida aria della sera ci fermiamo a guardare accendersi i lumi delle cave dell’Altissimo di fronte a noi, e quelli lontani della costa e del mare:  un mare lucido  e terso come un metallo temprato; la vita ferve ovunque, solo in questa valle brulla e incassata vi è solitudine: solitudine triste, quasi affannosa, che cresce quando le pareti allungate e scarne , macchiate qua e là da chiazze di neve, diventano nere dopo la rosea tinta dell’ultimo sole.
Il Rifugio Aronte è una piccola cosa grigia sulla pietra grigia; quando ci siamo arrivati, la luna aveva già cominciato ad illuminare l’esile profilo della Punta Carina; nel rifugio allo scoppiettante lume della candela, c’è un buon odore di intimità e di legno un po’ marcito.  Abbiamo mangiato, poi siamo saliti al Passo della Focolaccia : le nostalgiche pareti del Cavallo hanno respinto l’eco dei nostri “jodel” verso il Pisanino e verso il Tambura; poi abbiamo ascoltato il silenzio, e la sua voce ci è sembrata come un bisbiglio continuo, sempre uguale.   Abbiamo disceso di corsa la neve inargentata dalla luna, e ancora tremanti di freddo e di commozione ci siamo avvolti nelle coperte, nel rifugio




















































Da qui si sente sempre il mormorio del vento alla Focolaccia, anche quando negli altri posti c’è calma assoluta; fra il sonno si sente anche il familiare scricchiolio dei topi: è una famiglia di topi buoni, padre, madre e figlio che ha preso alloggio al pagliericcio di sopra e che per buona parte della notte veglia in vece nostra sui sacchi e sulle provviste…

Quando al mattino usciamo dal rifugio, il sole è già spuntato: saliamo alla Focolaccia e ci affacciamo sulla Garfagnana: un immenso, bianco mare di nuvole stagna sulla valle; emergono solo il Pisanino, la Tambura e gli Appennini lontani e silenziosi.  Calzati gli sci, scendiamo verso il Cavallo costeggiandone il fianco orientale.  Oltrepassata la zona battuta dalle slavine che cadono dalla parete, scendiamo direttamente verso una conca, sopra le cave d’Acqua Bianca.  Qui mettiamo le pelli di foca, poi attraversiamo orizzontalmente verso i grandi faggi che si arrampicano faticosamente lungo i piedi della Tambura, al margine del mare di nuvole; le pelli reggono poco perché la neve è ancora dura.  Il sole ci morde la fronte e le guance.  Oltrepassati i faggi, cominciamo a salire tenendoci paralleli alla cresta del monte, e passando fra le grandi buche, raggiungiamo la cresta che sale da Roccandagia; di lì, a scalini, per il ripido tratto finale.
In cima, ci leviamo in silenzio gli sci: le nuvole sono riuscite a valicare la Focolaccia e ora hanno coperto anche la Versilia e il Tirreno; siamo su una piccola isola che stende, come grandi braccia, i suoi fiordi su un mare polare. Guardiamo i visi angolosi dei monti apuani che tacciono;  quassù, il sole è caldo e la neve si è ammollita.  Adesso cominciamo a scendere perla stessa via: prima lentamente lungo il tratto ripido, poi a grandi scivolate fino alle buche che coi loro orli rialzati si prestano bene per l’arresto finale.  Prima di tuffarci nella nebbia, guardiamo ancora una volta i monti:  sorridono sempre serenamente sotto il dolce alito del sole.  Ora siamo completamente avvolti nella nebbia: una nebbia calma, immobile e fredda; nevica a grandi fiocchi.  Noi scivoliamo piano e ogni tanto le nostre voci vanno a smorzarsi nel bianco ovattato.  Alla conca sopra l’Acqua Bianca, aspettiamo un po’, poi risaliamo fino alla Focolaccia; quando arriviamo al rifugio, il vento ha spazzato le nuvole ;  la poca neve sul tetto si è sciolta e grosse gocce brillanti ci cascano davanti al naso.
Abbiamo mangiato un po’, poi ci siamo seduti sulle panche davanti alla porta a fumare.  Ora i monti sono più nitidi di prima; le rocce, d’un color viola cupo, gettano lunghe e nitide ombre nere sulla neve che scende in un baleno verso la valle, a confondersi col verde dei boschi.  Il cielo è pallido e indeciso…
Più tardi, il sole è tramontato dietro Punta Carina.

*** M.Tambura,  m.1889 (Alpi Apuane)
-Prima ascensione sciistica - 29 marzo 1940 - XVIII
-Giorgio Fiorentini e Vittorio Feraiorni
-( Sez. Viareggio e G.U.F)


leggi "Con gli sci nelle Alpi Apuane - Pania della Croce "


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